lunedì 29 gennaio 2018

Hernàn

Hernàn, a settantadue anni, aveva ben compreso i segnali che la tendenza inarrestabile all'entropia, gli inviava sempre più spesso.
Dapprima periodi di pochi secondi, seduto nella macchina ferma davanti a un semaforo, in cui aveva l'improvvisa sensazione di trovarsi in un luogo sconosciuto, incapace di muoversi e di andare in una qualsiasi direzione, appena infastidito dai clacson irritati. L'ultima volta una donna si era avvicinata al finestrino chiuso gridandogli se si sentisse bene e lui aveva scosso la mano sinistra per dire “tutto OK”, ma con lo sguardo spento. Quando a casa voleva cucinare qualcosa, tanto il tempo libero ormai era troppo, si metteva in linea tutti gli ingredienti e gli strumenti necessari per un bel piatto e d'un tratto incominciava a fissare il tavolo dimèntico di tutto, come se quegli oggetti non avessero per lui più alcun significato. Passato quel momento, penosissimo, doveva ricordarsi la ricetta a partire da quello che aveva di fronte e spesso, non riuscendovi, era preso da una collera furiosa che lo spingeva a buttare tutto nel secchio. Quel giorno il suo pasto sarebbero stati riso bollito e formaggio, freddi di frigorifero. Non riuscendo neanche più a dormire si sedeva sul divano a occhi aperti, ancora nervoso. Se avesse chiuso gli occhi avrebbe visto la solita sarabanda di morti e di vivi, persone reali che diventavano personaggi di una commedia sgradevole.
Erano pochi gli anni passati dalla pensione e, oltre alla sensazione di prendere dei soldi che, non lavorando, pensava non gli spettassero, sentiva profondo il cambiamento in peggio della sua vita. Certo, l'ironia che lo aveva sempre caratterizzato gli faceva nascondere bene la sua pena di fronte a gli altri, ma non di fronte a sé stesso. Nessuno in casa poteva immaginare quanta sofferenza lo accompagnava in ogni momento della giornata.
La parola che nessuno doveva mai permettersi di pronunciare, “vecchio” era il rumore assordante che gli rimbombava continuamente nelle orecchie. Hernàn non aveva paura della morte: spesso si figurava il momento dell'ultimo respiro come quello di un addormentamento: forse per questo motivo , per una paura non detta, prendere sonno ogni notte era sempre più complicato. Ma davvero non aveva paura della morte. Ciò che lo terrorizzava era quel periodo, di durata orribilmente ignota, in cui forse sarebbe diventato un morto vivente, peso e ingombro a sé stesso, non più consapevole, motivo di dolore e di nostalgia per chi lo circondava. E poi c'era lei.
Hernàn, prima che arrivasse l'incoscienza più completa, avrebbe voluto compiere quel gesto di totale autodeterminazione che gli avrebbe permesso di morire con dignità e di non sgretolarsi nel nulla dell'incoscienza. Alcuni lo avevano fatto e lui, venendolo a sapere, pensava che avessero fatto bene. Non riusciva a immaginare se sarebbe riuscito a mettere in atto quella decisione.
Il problema, anche in questo caso, era lei. Si sentiva responsabile e le voleva risparmiare una vecchiaia piena solo di solitudine e di malinconia. Aveva sofferto e aveva avuto una vita difficile, e il passare del tempo non aveva certo migliorato la situazione. Seduto a occhi aperti sul divano pensava a lei, e capiva che stava diventando un vecchio demente.
Doveva inventarsi qualcosa.

Venti anni aveva sua nipote Gabriela. Studiava, senza ammazzarsi – ma questo era un atteggiamento di tutta la famiglia, e non necessariamente negativo – alla facoltà di Matematica di Cordoba e spesso aveva un'aria sognante e svagata che al nonno ricordava il proprio deterioramento. Era per questo che le era tanto affezionato. La chiamò al telefono, utilizzando una rubrica cartacea che aveva ricominciato a usare, dopo tanti anni. Anche questo un bel segno di regressione.
“Ciao Gabrielita, quando hai dieci minuti per tuo nonno? Forse riesco anche a cucinarti qualcosa...”. “Domani, e all'ora di pranzo”. “Ti aspetto, Chiquita. Non mi deludere”. “Non è mai successo”. “Una volta, mi sembra”. “Ah, ah, vecchio pazzo”. Era l'unica nipote che aveva preso completamente il suo senso dell'ironia: la adorava per questo. “Cosa vorrà da me nonno?” pensò Gabriela “Aveva un tono di segretezza. Vedremo”.
Tornò a occuparsi dell'esame di Geometria. La matematica era bella, e ai tempi del liceo l'aveva adorata. Ma era semplice. Studiarla all'Università era stato molto più difficile del previsto. Ciò che per qualche suo fortunato compagno di studi era oggetto di naturale intuizione per lei era il frutto di uno studio totalizzante e di durata a volte neanche prevedibile.
Stare un paio d'ore col nonno sarebbe stato un delizioso diversivo.

Arrivò all'una meno un quarto. La aspettava un piattino di crocchette di pollo e prosciutto con la salsa aioli semplicemente spettacolari. “Andiamo al parco di Miraflores a sederci di fronte al Guadalquivir. Ti devo fare una proposta economica” le disse Hernàn dopo che lei ebbe finito di sbafarsi l'ultima striscia di aioli. Gabriela restò perplessa. Essendo vicini al parco e in una giornata di sole pieno non si rimise neanche il cappotto e uscirono di casa presto.
Il nonno era silenzioso, come se rincorresse, con difficoltà, certi suoi pensieri. Lei incominciò a parlargli del suo ultimo ragazzo, che al momento portava le pizze a domicilio. Quando pronunciò la parola “amore” Hernàn parve risvegliarsi dalle sue riflessioni e le chiese, guardandola nei occhi neri con i suoi occhi tremolanti: “E' un grande amore?” “Io vorrei di sì”. “Come si chiama?” “Luisito”. “Fammelo conoscere prima che io muoia”. “Allora c'è tempo, abuelito”.
Erano arrivati sulla panchina che Hernàn aveva scelto e pensato da vari giorni. Abbastanza tranquilla perché leggermente più distante da tutte le altre, comoda e non troppo soleggiata. Di fronte al fiume, tranquillo. Si sedettero a guardarlo.
“Chiquita, potrebbe arrivare un giorno in cui non sarò più in grado di venire qui, e non perché dovrò starmene a letto malato ma perché potrei non essere più capace di trovare la strada”. Gabriela capì bene il senso di quella frase: anche lei aveva notato, da mesi, piccoli segni, momenti in cui lo sguardo era perso nel vuoto, ricerche insensate di oggetti posti sotto gli occhi, risposte sconnesse a semplici domande. Nella voce del nonno sentì il timore della voragine.
“Vorrei che tu fossi la mia guida quando arriverà quel momento. Mi porterai qui, tutte le volte che potrai e siederai vicino al mio silenzio. Il regalo te lo faccio subito cosicché tu non debba aspettare una promessa nel testamento. E il regalo è un regalo, non deve suggellare nessun impegno. Solo perché ti voglio bene, Chiquita”.
Le mise in mano un assegno con quattro zeri. “Questo sarà il nostro segreto”.
Gabriela avrebbe voluto abbracciarlo con una forza che non aveva mai avuto: quel vecchio scimunito ancora una volta era riuscito a sorprenderla. Realizzò che se avesse parlato ai suoi dell'assegno quei soldi sarebbero diventati patrimonio, legittimo, della famiglia. Ma potevano anche essere un aiuto insperato per trasferirsi a Madrid.
Gabriela diventò la guida di Hernan, i cui occhi presto divennero vuoti. Uno dei primi giorni di queste gite si sedette sulla panchina, nello spazio libero a fianco di Hernàn, una signora, che a Gabriela sembrò avere un aspetto familiare. Una signora non molto alta, con un bel casco di capelli biondi, biondi per i colpi di sole. E con due occhi celesti le cui iridi avevano un orletto giallo luminosissimo. Il sorriso di una bambina. Si sedeva vicino a lui e stava in silenzio. Gabriela notò che quando lei arrivava il nonno, anche se non riusciva più a parlare, sembrava più rilassato.
Fu la signora che in un giorno di cielo coperto incominciò a parlare con Gabriela. Aveva un tono di voce piacevole e cortese e incominciarono, giorno dopo giorno a conoscersi. Hernàn sembrava che ascoltasse: qualche volta borbottava frasi incomprensibili che, stranamente, la signora sembrava comprendere. Nel giro di poche settimane questo incontro a tre divenne una piacevole abitudine a cui Gabriela non avrebbe rinunciato facilmente, e i giorni che la signora non compariva la rendevano nervosa. Non solo lei.
Come dio volle arrivò il giorno in cui Hernàn perse completamente la strada. La nipote temeva quel momento ma non era preparata.
La signora continuava a venire e Gabriela condivideva con lei il dolore profondo per quella perdita. 
Il nonno cercò con un gesto impercettibile la mano della signora e la strinse con forza. Lei sorrise e Gabrielita, finalmente, capì.



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