domenica 28 maggio 2017


Fitti goccioloni freddi
rigano il vetro della cucina,
si confondono con le lacrime.
Pioggia muta, come le parole che non so più dire.

Ho creduto, io speravo, mi sono illuso
ho messo il cuore davanti alla dignità
e l'amore avanti a tutto.

Oggi sprofondo in un'inquieta solitudine
e la tua mancanza brucia.

Ho fame di te.


sabato 27 maggio 2017

Violante

Violante si controllò il rossetto e balzò sulla carrozza della metropolitana nel momento in cui le porte si chiudevano. Aveva davanti a sé dodici fermate prima di arrivare in Tribunale. Si sedette lontano dagli altri passeggeri perché voleva riflettere ancora.
Quel delinquente del suo assistito meritava qualcosa di più della galera ma lei doveva farlo assolvere. Si mordeva le labbra per non mettersi a gridare quanto fosse ingiusto il mestiere di difendere chi le aveva detto, nella quiete del suo studio, che quella donna l'avrebbe volentieri ammazzata di botte, e che quelle che le aveva dato non erano ancora abbastanza. E lei avrebbe dovuto convincere un giudice ad assolvere questo schifo di uomo, per il quale figlio e moglie erano solo oggetti di proprietà. E si sa, gli oggetti non hanno diritti.
Nel momento in cui la donna – e con quanta ragione – aveva richiesto l'affidamento del bambino la furia si era scatenata su di lei. Quaranta giorni di prognosi, salvo complicazioni.
E lei, in Tribunale, avrebbe dovuto dimostrare che c'era stata una provocazione, e che la madre negava alla bestia il diritto di frequentare il figlio, e di portarlo con sé in quella casa orribile. Lei la conosceva, per esserci stata una volta. Lì lui viveva, con la madre e due sorelle.
Violante si aggiustò la gonna che le era salita troppo sopra le ginocchia: pensando si dimenava e un ragazzetto le si era sistemato davanti per godersi lo spettacolo. Non possiamo dire che quegli sguardi di adolescente non le procurassero un filo di eccitazione. Sapeva bene di essere molto sexy e usava con disinvoltura il corpo per ottenere i risultati giudiziari che voleva. Raramente anche fuori delle aule.
Poggiò la cartella sulle cosce e il teatrino finì. Il ragazzo scese dalla carrozza.
All'arrivo scese controvoglia: avrebbe pagato per nascondersi in qualche buio ripostiglio. E invece salì affannosamente le scale, chissà che non si potesse anche rompere un tacco e avere una qualche scusa per arrivare tardi, quando magari l'udienza avrebbe potuto essere rinviata. E invece no: le tre ore di spinning che faceva ogni sera le avevano forgiato due gambe scattanti e veloci.
Si sentì salire la nausea, e capì che quel poco di colazione che aveva ingoiato non sapeva più che direzione prendere. Sudava dappertutto e questo la metteva ancora più a disagio.
Come dio volle arrivò in Corte d'Assise, con gli occhi gonfi e la faccia stralunata. L'usciere le disse preoccupato “Avvocato, non si sente buono?”. “Lasciami stare. Non è giornata”.
Andò a sedersi al proprio posto e tirò fuori il fascicolo dalla cartella.
E lui infine entrò.
Maschio latino, uno e novanta, occhi gelidi acqua marina. Palestrato. Un sorriso feroce. Appena la vide le fece un segno alzando i polsi ammanettati, con uno sguardo che significava “Non devi sbagliare”. Violante fece finta di non averlo visto ma si sentì rabbrividire.
E così l'udienza incominciò, con l'esame dei testimoni, da parte dell'accusa e da parte della difesa. Era brava Violante, e smontò, una per una, tutte le testimonianza a sfavore.
Al momento dell'arringa si trasformò. La si sarebbe detta una leonessa ferita, anche nell'aspetto. Ogni argomento tirò fuori, ogni giustificazione, per cercare di suscitare emozioni profonde nei giudici popolari. Il Presidente la conosceva bene, e per questo era un po' distratto.
Lei parlò per un'ora, e alla fine dell'arringa chiese un bicchier d'acqua.
Alle 15 discese stanca le scale della metropolitana. Durante quelle dodici fermate avrebbe desiderato di essere posseduta da uno sconosciuto.
Il suo cliente ricevette una condanna minima.