domenica 25 settembre 2016

Ancora qualche passo

Ho appena finito di masturbarmi, con quel microsecondo di beatitudine che la cosa porta con sé. Del resto mi accontento. Non è vero che è come fare l'amore con la persona a cui si vuole più bene, non è più così. E se possibile è ancora più triste.
Mi preparo a uscire per il dovere quotidiano: cheppalle!
Guardo con attenzione la boccia con i pesci, il taccuino e la penna con cui prendere gli appunti. E' un po' di tempo che questo allevamento all'incontrario dei pesci mi appassiona.
Riempio la boccia di acqua pulita. Compero due pesci della stessa razza, un maschio e una femmina. Li metto nella boccia e li nutro con regolarità, come da manuale. L'esperimento consiste nel non cambiargli mai l'acqua. Per ogni razza quindi segnerò sul diario durata della vita del maschio, della femmina e il grado di opacità dell'acqua, misurando l'attenuazione del fascio di luce all'estremità opposta della boccia. Risultati: mediamente cinque giorni di vita residua, in genere gli ultimi due senza più alimentarsi. I maschi muoiono prima delle femmine, come noi umani. Soffrono di più. Il record però di nove giorni l'ha stabilito un maschio di pesce pagliaccio, annegato nella propria putredine con gli occhi fuori delle orbite più del solito. Li considero morti dopo che galleggiano per venticinque minuti. Per quando non ci sono mi supplisce la telecamera. Dimenticavo: la temperatura dell'acqua è venti gradi, termostatata.
Cammino, con le cuffiette, che mi aiutano a tenere vuoto il cervello. Se non avessi le cuffiette a ogni ringhiera mi verrebbe quel pensiero e non voglio. E poi la radio non è male, ha un elenco di due o trecento canzoni che ripete sistematicamente, per cui dopo alcuni anni la sequenza l'hai inconsciamente imparata a memoria. Cento e quindici passi al minuto. Perché mai, poi, per chi, soprattutto.
Lo vedo da abbastanza lontano, saranno almeno una cinquantina di metri. Nel silenzio del mattino faccio fatica a riconoscerlo, ma capisco che mi viene incontro per salutarmi. “Buongiorno dottore!”.
Mi devo fermare. “Buongiorno Rai, come andiamo?”. “Cosa vuole che le dica? Non mi lamento, ormai nella mia condizione sarebbe sciocco farlo.... Lei piuttosto? Vedo chiaramente che si trascina dietro un grosso peso e mi dispiace”. Ma come cazzo ha fatto a capirlo? Io cammino per la strada, sono sempre lo stesso, lo zainetto peserà due etti, tre con la giacchetta a vento, non lo vedo da parecchio e non può sapere da nessuno gli affari miei........ “Ha ragione, Rai, è un momento difficile, e non è un momento, sono mesi”. “Non so che dirle, Dottore, vedo come lei sta adesso ma non ho il potere di dirle che tutto si aggiusterà....”. “Ma mi dica, Rai, ma lei non è morto da qualche giorno? Cosa ci fa qui?”. “Ci è concesso ancora qualche giorno, appunto, per sistemare piccoli affari lasciati in sospeso.... ma non siamo percepibili da tutti”. “E perché io la posso vedere e posso parlarle?”. “Perché lei è proprio uno dei miei affari in sospeso”. “Ah, ah, ah, Rai, lei vuole davvero farmi ridere. Ma mi lasci perdere.... Mi lasci bollire nel mio brodo, come i miei pesci. Arrivederci Rai. Non è stato un piacere ma son del tutto sicuro che non ci vedremo mai più. Neanche all'inferno”.
E via, quasi di corsa.... ma che cazzo vuole sto cadavere ambulante.... poveraccio, in fin dei conti. Chissà se ha vissuto come ha voluto.... o come ha potuto..... o come altri hanno voluto che vivesse.
Sono già arrivato al mio punto di arrivo e mi sono voltato per la via del ritorno. Cammino tranquillo, non assorto ma abbastanza tranquillo.
Sto per attraversare la strada e sento dietro di me l'avvicinarsi della sirena di un'ambulanza. Sto per attraversare, sono sulle strisce, chi cammina del resto non si può fermare, se no perde l'abbrivio.
Bum!

“Ciao Rai.....”


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