martedì 30 aprile 2013

Medici


“Per favore vai a darle un'occhiata, è caduta per strada”.

Non è perché io faccia il medico da un quarto di secolo che abbia il dovere di andare a vedere le ginocchia sbucciate, aspirerei a qualcosa di più professionale.
Poi non ne ho nessuna voglia, è una persona che non mi piace.
Non saprei dire perché non mi piace, forse è solo l'aspetto esteriore, è bassa, troppo grassa, e non parla neanche bene la mia lingua. Si chiama Myriam.
Vado, con calma, certo, ma vado, anche per non farmi trovare da dire, che poi mi sale la pressione.

Suono il citofono e quando sento dire "Chi è?" mi verrebbe da dire “sono il Signor Dottore”.
Lascio perdere le paranoie autocelebrative e dico semplicemente “sono io”, nell'illusione che la mia voce sia inconfondibile.
Comunque apre.
“Mi hanno detto che è caduta” è il mio esordio. Vengo quindi avvolto da questo turbine di parole, miste fra espanol e italiano, di cui capisco il senso ma non il dettaglio, che poi non mi interessa granché.

In questi ventotto anni di medicina ho imparato che tutti i pazienti vogliono dal medico, prima di ogni altra, una cosa sola: essere toccati. E solo dal dottore si fanno toccare (oltre che da quello/a con cui dormono, ovviamente). E nel momento che prendi la loro mano dolorante nelle tue mani, e la palpi con delicatezza il dolore già diminuisce un po'. E vabbè, facciamolo. Non hai neanche un po' di ematoma, Myriam, e la muovi da dio, quella mano un po' salsicciottata.
Secondo round: il ginocchio.
“Metta la gamba sulla sedia e la scopra”. E allora ripalpi, fai flettere l'arto, lo confronti con l'altro. “Myriam! Ma perché sei così seccante, hai solo una piccola sbucciatura!” Avrei una voglia maligna di prescriverle una scatola di iniezioni, di quelle che bruciano. Ma perché poi essere così dispettosi? Invece cerco di farmi spiegare che medicina vorrebbe per il dolore, una medicina che ovviamente deve avere già preso. Non voglio mica fare dei danni. Motivo per cui mi faccio scrivere il nome su un francobollo. Telefonerò al farmacista che glielo faccia avere.

Bene, ho finito, mi rivesto.
Mah sì, che cosa mi costa poi, lo faccio. Le do una carezza sul viso paffuto, dicendole “Stia tranquilla, non ha niente di rotto”: come per incanto Myriam si trasforma nella persona più dolce che abbia mai incontrato e mi restituisce un sorriso di gratitudine che è il compenso più gradito.
Grazie, Myriam, mi hai confermato che tanti anni fa ho scelto bene.




lunedì 29 aprile 2013

Lettere d'amore, verbi più che altro....

presente: io sto benissimo vicino a te

imperfetto: io stavo benissimo vicino a te

p.remoto: io stetti benissimo vicino a te

p.prossimo: io sono stato benissimo vicino a te

futuro: io starò benissimo vicino a te

cong. presente: che io stia benissimo vicino a te (è cosa del tutto certa)

condizionale: io starei benissimo vicino a te (se lo potessi fare continuamente...)

imperativo: ehi! Stai benissimo vicino a lei

infinito (che poi è quello che interessa di più): STARE BENISSIMO VICINO A TE, SEMPRE...




sabato 13 aprile 2013

COSE


In genere quando butti via qualcosa hai il timore che presto finirai per averne impellente bisogno.
Ma non è questo il punto.
Nella vita attraversi periodi che, relativamente alle cose, puoi ben definire "di accumulo" ovvero "di liberazione". Ci hanno insegnato che le cose non hanno valore, che è meglio "essere" piuttosto che "avere", senza dirci che se "avere" è un verbo così importante da fungere da ausiliare ci dovrà ben essere un motivo.
Le fasi di accumulo e di liberazione seguono un andamento ciclico, come la ben nota curva sinusoidale, che mi ha sempre ricordato il simbolo della femminilità, la rotondità perfetta. E così come la curva, che all'apice del suo percorso ridiscende inesorabilmente, anche per te arriva il momento in cui senti con estrema urgenza la necessità di disfarti delle cose che hai accumulato, e, non rendendoti conto della vera motivazione, la chiami "mattinata in cui dovrò fare un po' di ordine". Perché ti illudi che fare ordine nei cassetti, cosa relativamente semplice, corrisponda, per facilità e possibilità, a fare ordine anche nella tua piccola esistenza, minuscola goccia nel mare della vita, per te comunque così rilevante.
E allora incominci, non di buona lena, ma comunque cominci, e una parte della tua voglia è certamente animata dalla curiosità.
Apri il primo cassetto e ci butti un'occhiata ancora svogliata: ogni cosa che tocchi, anche le pile vecchie, non può fare a meno di ricordarti qualcosa o qualcuno, solo per poche ricordi anche l'occasione in cui è finita nel cassetto.
I tappi dello champagne con la data scritta sopra. Almeno otto. Nel momento in cui hai scritto la data avevi la certezza che sarebbe bastato leggerla per ricordare quel giorno, e adesso quei numeri ti guardano e ti interrogano, e tu ti sforzi, ma non c'è verso.
Tappi dello champagne: via!
Oggi mi comprerò sei bottiglie di quello buono: la mia unica fortuna è l'amico in banca che mi permette lo scoperto a un livello "troppo giusto".
C'è anche il cassetto "della posta": moduli, carta da lettera, una marea di buste: e dire che non ho mai scritto volentieri le lettere. Mio padre, per non sfigurare con la mamma, vecchia maestra, me le dettava. Poi c'è stato il periodo delle lettere d'amore, certo. Adesso tutto lo scritto viene immediatamente trasformato in pacchetti di bit, e devi scrivere in fretta, e soprattutto non ti puoi correggere. Devi pensare velocemente.
Moduli postali e buste da lettera: via!
Fumo. Basta la parola e pensi a tutti gli anni che ti sei letteralmente fumato, e a quello che significa per te avere una sigaretta in mano, e se pensi a te stesso riesci a pensarti solo con la sigaretta in mano. E' molto più forte di te. Sai che ci potranno essere periodi, anche lunghi, in cui ne farai a meno, ma finirà che ritornerai sempre da lei, che ti chiede solo la salute, ma poca per volta.
C'è stato un periodo in cui mi ero illuso che usare la pipa potesse essere un buon surrogato. Mi sono capitati in mano nettapipe arrugginiti, scovolini polverosi e qualche pipa, più brutta delle altre, che non aveva il diritto di essere esposta in bella vista assieme alle altre, tutte adesso ricoperte da un velo, ex non usu.
Attrezzi per la pipa: via!
Nascosta bene, in fondo a un cassetto, c'è una cosa, legata a una superstizione terribile, che non può essere toccata ma solo controllata di tanto in tanto.
Quando sono stato malato le statistiche mi davano una overall survival del 50% a 5 anni. Che, detto in soldoni, vuol dire (scusatemi il bisticcio) tirare la moneta. Testa resti, croce parti.
Adesso lo racconto con una certa levità ma esserci "dentro" era diverso. Ti devi attaccare a qualcosa, a qualsiasi cosa. E la cosa è il flacone di profumo che hai nascosto nel cassetto. Come noto il profumo evapora, come stava facendo la vita in quel momento, e allora tu lo chiudi più bene che puoi, lo sigilli, gli metti un doppio tappo, e gli dai la capacità di dirti che quando sarà svuotato anche la tua vita sarà finita. Gente più o meno famosa ha avuto la stessa malattia, qualcuno ce l'ha fatta e qualcuno no. Ma è ovvio che dipende solo dall'anno in cui si sono ammalati. Don Lorenzo Milani si è ammalato troppo presto.
Il flacone poi mi permette di pensare di essere così completamente padrone della vita da poter decidere di interromperla nella maniera più semplice, buttandolo giù dalla finestra.
Come l'ultimo pacchetto di sigarette, semi pieno. Fino alla prossima.