mercoledì 11 luglio 2012

SCONOSCIUTI


I
In certi momenti Livia non credeva ancora di essere stata capace di prenotare quel viaggio, e la assaliva improvvisamente una sensazione di incertezza che per un istante la paralizzava, qualunque cosa stesse facendo.
Non era certa infatti di essere consapevole di tutti i motivi che l'avevano spinta a prendere quella decisione, ma quando si era trovata seduta nell’agenzia di viaggi, davanti a una ragazza di poche parole ma dall’aria piuttosto allusiva, la curiosità aveva prevalso su ogni altra considerazione. Non il fatto di dover partire da sola, ovviamente, nè il costo elevato della vacanza.
Fra l’altro era anche animata da un certo sentimento di vendetta verso quell'uomo che l'aveva lasciata così bruscamente. Il fatto che io mi imbarchi in questa avventura, gli avrebbe voluto dire, ti farà ben capire che ho l’intenzione di cancellare persino il tuo ricordo. Ma solo la certezza di non potergli sbattere in faccia queste parole le dava la forza di pensarle.
Dopo l’abbandono aveva voluto rovistare nella sua scrivania, che nel suo disordine era un po’ il simbolo della vita di quell'uomo. L’aveva fatto insieme alle ragazze, perché voleva che anche loro partecipassero di quell’angolo privato di lui, e anche perché non sapeva bene che cosa avrebbe trovato. Non ne aveva proprio voglia ma era un compito che si era imposta. E infatti erano saltati fuori gli oggetti più disparati, difficilmente riconducibili all’idea che di lui loro si erano fatte. Una scatoletta contenente chiodi rotti e arrugginiti, inutili e inutilizzabili. Buoni fruttiferi postali, scaduti da anni, e per cifre assolutamente non disprezzabili, mescolati a foglietti con minute di quelle che sembravano lettere d'amore appena incominciate. A quale o quali donne fossero indirizzate non le era stato possibile capirlo, ma erano sicuramente scritte da lui, con quella grafia particolare in cui ogni carattere era nettamente separato dal precedente e dal successivo, proprio come un carattere corsivo a stampa. Guardandole Livia aveva fatto finta di niente, perché aveva vicine le figlie. Dai cassetti continuavano a uscire, per opera delle ragazze, piuttosto divertite, pile mai usate, refill di ogni tipo di penne a sfera, borse del tabacco, coltelli, una scatola piena di vecchi dollari d’argento, una bottiglia di profumo sigillata, per un quarto piena. Un bazar allucinante. Frammenti insignificativi di una vita poco nota.
Con calma, poi, era riandata col ricordo alle lettere che lui le aveva scritte, nei primi momenti della loro storia. Anche se non sapeva più dove fossero le ricordava bene, purtroppo pressoché eguali, nel contenuto e nello stile, a quei foglietti volanti trovati nei cassetti della scrivania. Si sentiva ferita e decise di cestinarli: palline di carta che volano, inesorabilmente, nell’immondizia. Descrivendo peraltro un arco perfetto.
Livia da giovane era stata bellissima: due occhi nocciola incastonati in un viso perfettamente ovale, un incarnato appena olivastro e lunghi capelli dello stesso colore degli occhi, lunghi fino a dove finisce la schiena: una bellezza indiana, se così vogliamo dire, accentuata da un piccolo neo sullo zigomo sinistro. Gli anni erano passati su di lei lasciandole alcune piccole tracce sul volto, facilmente nascoste anche soltanto dalla tenue oscurità della sera. Con un velo di fondo tinta avrebbe dimostrato vent’anni meno di quelli che aveva. Il fatto è che non gliene importava più molto.
Si era sposata molto presto e presto aveva avuto quelle due figlie, Giovanna e Maria, chiamate come le nonne. Dopo quasi quarant’anni il marito l’aveva lasciata. Le figlie le erano state vicine, i primi tempi. Ma anche loro avevano famiglia e lavoro, che venivano, nella realtà di tutti i giorni anche se non nei desideri, prima della mamma.
Livia però aveva reagito, non era mai stata donna da lasciarsi dominare dalle situazioni, così come quando aveva dovuto gestire l’improvviso licenziamento e reinventarsi un lavoro, e c’era riuscita con grande successo.
Si era presto data una “regola”, come la chiamava lei, che le scandiva la giornata in maniera molto rigida, e che, mentre da un lato la metteva in grado di fare da sola tutto quello di cui aveva bisogno, dall’altro, cosa ben più importante, le impediva di pensare alla sua perdita, se non fosse stato solo per qualche attimo, particolarmente malinconico, ben presto scacciato come un insetto fastidioso dall’incombere della prossima attività. Tutto ciò la aiutava ad andare avanti. Era veramente autonoma in tutto, e ne era profondamente orgogliosa.
Aveva pensato e ripensato per parecchio tempo a quel viaggio, perché era lungo e soprattutto perché non aveva mai fatto un viaggio così, e questo era stato proprio il motivo principale. Con L. non erano mancati i viaggi, un po' come in tutte le coppie, ma mai un viaggio in un altro continente. Si sarebbe trattato di fare tante ore di aereo e poi di imbarcarsi su una nave, per una crociera di un mese. Cose tipiche da pensionati, pensò Livia ridacchiando fra sé e sé.

II
Finalmente l'aereo è partito. In aeroporto l'incaricata dell'agenzia mi ha presentato i miei compagni di viaggio, che sembrano persone del tutto normali, e non so ancora se questa sia una qualità o un difetto. Sicuramente non gente che scappa dal passato, come mi sento io in questo momento. Certo, sono tutti “non più giovani”, qualcuno è proprio vecchio vecchio. Mi ha colpito un uomo pressapoco della mia età, un po' appesantito, con un'aria triste che contrasta con un eloquio gioviale e faceto. Non ostante in aereo ci sia l'aria condizionata è venuto su senza un maglione e con i calzoncini corti. Uno sportivo? Uno stupido? Mi riservo di farmi più avanti un'idea più precisa. Per ora cerco di rilassarmi. Sono preoccupata ma non so perché. Le ragazze mi hanno messo in mano un telefonino e mi hanno raccomandato di usarlo il più spesso possibile: mi hanno detto che è tutto pagato. Non sono state molto d'accordo che io facessi un viaggio così lontano e per così tanto tempo ma hanno da tempo capito che faccio quello che mi pare e mi piace, e non voglio sentire ragioni, ci mancherebbe. Magari, sotto sotto, sperano che io cada in mare e sia mangiata da qualche pescecane, o che mi morda uno scorpione di quelli che non perdonano..... del resto anche io non perdono.


III
In viaggio ho avuto occasione di conoscere un po' meglio quell'uomo in calzoncini che mi aveva tanto incuriosito. Del resto sono tutti accoppiati ed è stato giocoforza che noi ci siamo seduti vicini e abbiamo incominciato a parlare. Ha incominciato lui, che non è selvatico come me, e a poco a poco mi ha avvolto con i suoi discorsi in una nuvoletta profumata e inebriante.

IV
Questa donna che ho incontrato in viaggio è davvero un tipo singolare. Intuisco che sia solo un poco più vecchia di me ma non mi importa, del resto credo che non me lo direbbe mai. Dato che siamo gli unici due scompagnati, o scombinati, della comitiva, mi sono seduto vicino a lei. Non ho avuto alcuna difficoltà a riassumerle in un quarto d'ora la mia vita per sommi capi, vita randagia di commesso viaggiatore del mondo, con campionari di macchine per la potabilizzazione dell'acqua, sempre in macchina e sempre in giro, ogni sera in un posto diverso, e ogni sera con una diversa compagnia, che qualche volta ti dà anche due pugni e ti porta via il portafogli. Tutte cose sempre messe nel conto. Fino alla potabilizzazione glielo ho raccontato, e mi sembrava parecchio divertita. Il resto no, non sarebbe stata una mossa furba. Non voglio subito escludermi da questo gruppo.
Anche lei mi ha raccontato qualcosa, di due figlie grandi e sistemate, di cui è molto orgogliosa, e di un uomo, che non c'è più, ma non ho ben capito se “non c'è più” o ha solo preso il volo. Forse non c'è tanta differenza. Capisco chiaramente che questo viaggio ha per lei il significato di una rinascita, potrei dire persino di un battesimo, visto che sono stato tanti anni a scuola dai preti.
Adesso è tardi, e anche se andiamo dietro al fuso orario è già notte in cielo, notte senza stelle. Si è addormentata e la sua testa è scivolata gradualmente sulla mia spalla. Mi dà un po' fastidio ma non oso muovermi per non farla cadere. Lo so, domani mattina la spalla mi farà male. L'importante è che Livia dorma bene.

V
Eccoci arrivati. L’aria tersa del mattino rende tutto più piacevole, persino questa nave su cui partiremo, la Palomita, che ha un’aria a metà fra il malandato e l’abbandonato. Ho dormito tutta la notte appoggiata a Diego e stamattina mi sono sentita dolcemente riposata. Quest’uomo mi riserverà delle sorprese, lo so.
Immagino che la nave una volta fosse proprio carina. Restano le vestigia di un fasto che non c’è più ma che si intuisce bene in certi piccoli particolari, ad esempio il servizio di stoviglie e il personale di sala, a un tempo formale e simpatico. Ci hanno servito il continental breakfast e mi sono sorpresa ad avere un appetito formidabile. Anche i miei compagni di viaggio hanno mangiato più che di gusto, Diego compreso.

  
VI
Sono cinque giorni che viaggiamo. Più ci avviciniamo a Valparaìso e più l’ansia si fa pressante. Mi sono imbarcato in questo viaggio solo per inseguire un fantasma del passato e in certi momenti non sono per niente sicuro di avere fatto bene. Ho una paura terribile di non trovarlo, che sia morto, che non mi voglia più vedere, ma soprattutto che si sia dimenticato di me. Non credo che riuscirei a sopportare quest’ultima evenienza.
Jorge è stato l’unico uomo con cui avrei voluto passare tutta la vita, e non perché la nostra storia è stata talmente breve da non poter avere brutti ricordi ma perché solo vicino a lui mi sentivo come Ulisse quando finalmente è tornato a Itaca. Pago. Arrivato e senza più nessun desiderio di partire. Quei momenti in cui potevo passeggiare tenendo la sua mano nella mia, ovviamente lontano da tutti, mi sono rimasti nel cuore come i momenti più dolci della vita. Ho paura, una fottuta paura. Lo so bene che non posso ritornare indietro e ricreare il passato, ma quella mano nella mia mi farebbe tanto bene…..

VII
In questi giorni di tranquilla crociera, in cui il tempo scorre lento e cadenzato dagli appuntamenti della vita di bordo, appuntamenti sempre in orario perfetto anche se a parteciparvi sono solo due persone, ho parlato spesso con Diego. Una sera, dopo cena, con il favore dell’oscurità, e di una bottiglia di Sauternes, mi ha raccontato sommessamente la sua storia e il perché ha fatto questo viaggio, alla ricerca del grande amore della sua vita. Ho pianto, a lungo, liberamente, e l’ho invidiato con tutta me stessa. Fra di noi si è stabilita un’intesa profonda. Ho voluto abbracciarlo, e lui ha ricambiato il mio abbraccio.

VIII
La nave ha finalmente attraccato a Valparaìso. Sono sceso come una furia e Livia mi ha salutato con la mano, mentre ero già in fondo alla passerella. Sono passati più di quarant’anni e non riconosco nemmeno le vie circostanti il porto, è tutto diverso. Adesso che sono arrivato vorrei nello stesso tempo scappare come un coniglio. C’è un caldo terribile e respiro con grande difficoltà. Andrò nel bar qui a fianco, berrò e consulterò l’elenco del telefono. Il cuore mi batte pazzamente nel petto.

IX
Al bar non ho trovato niente, se non un po’ di fresco e la possibilità di dissetarmi. Sono andato allora all’Ufficio dell’Anagrafe. Sono entrato alle otto del mattino e sono uscito alle quattro e mezzo del pomeriggio, marcio di sudore ma raggiante. Ho dovuto scartabellare una montagna di registri dell’anagrafe che definire polverosi sarebbe stato un complimento ma alla fine ci sono riuscito: Jorge non abita più in questa città, si è trasferito con la famiglia a Puerto Montt, tre anni fa. E’ un segno del destino, perché fra tre giorni la nave farà una tappa proprio lì. Sono felice come un bambino che scarta i regali di Natale, e questa volta il regalo è proprio quello che ho chiesto. Non voglio pensare che non lo troverò, che dovrò ricominciare a cercarlo. Voglio godermi questo momento di felicità pura.
X
E’ ritornato in nave giusto in orario per il tea time. Sudato, con la camicia fuori dei pantaloni, scarmigliato, ma con un’espressione di felicità che mi ha fatto sorridere.
Si è seduto, mi ha versato il tè e mi ha raccontato per filo e per segno la sua ricerca con un flusso ininterrotto di parole, gesticolando e infervorandosi. Mi ha fatto una grande tenerezza. Non so neanche io cosa augurargli, di trovare Jorge, col rischio di una grande delusione, o di non trovarlo, col rischio di un grande dispiacere. Caro Diego, sei proprio in un bel casino.

XI
Ho passato tre giorni a dir poco infernali, un leone in gabbia. Meno male che c’è Livia, con cui posso parlare e raccontarle tutte le mie ansie e le mie paure. Lei mi ascolta sempre con piacere, penso che mi voglia anche bene. Spesso riesco persino a metterla in imbarazzo, perché a certe mie domande non sa come rispondere. So bene che comprende e approva questa mia ricerca, e questo mi dà grandi speranze. Domani mattina scenderò e chissà che finalmente io non lo possa rivedere. Sarà invecchiato, magari porterà gli occhiali. E se fosse malato di una malattia grave? Impazzirei. Non che io sia al top della condizione fisica, anzi ogni volta che vado dal cardiologo vedo che fa certe facce…. Ma in questa momento la morte è scomparsa dai miei pensieri. Penso solo a lui.

XII
Diego scese dalla nave quasi rotolando, con un biglietto giallo in mano, con scritto l’indirizzo. Cercò affannosamente un taxi, per fortuna la stazione era lì a fianco, e vi si precipitò dentro. In venti minuti era arrivato. Si trovava in un posto fuori città ma non ancora in aperta campagna: la strada, non asfaltata, sollevava nuvole di polvere al passaggio della vettura. Ai lati vi erano povere case e poveri negozi, questi ultimi esponenti poche e brutte merci, per lo più alimentari di aspetto abbastanza preoccupante. Le case avevano porte e finestre sgangherate e qualcuna aveva un patio con tavolo e sedie, un bar, forse.
La casa di fronte alla quale il taxi si fermò non era diversa dalle altre: trasudava miseria. Diego scese e bussò alla porta. Gli venne ad aprire una donna dai capelli grigi raccolti in una crocchia. Aveva un’aria stanca, anche se era mattina. L’espressione davanti allo sconosciuto era però dolce e accogliente. Rovistando nella memoria più antica lui le farfugliò in spagnolo – Buenas dias, c’è Jorge?  Sono un suo vecchio amico e vorrei salutarlo -. La donna gli fece un sorriso, complice, anche se lui sul momento non se ne accorse, come se lo avesse da sempre aspettato. Gli indicò con un cenno della mano, sempre senza parlare, una casa dall’altro lato della strada, una casa col patio e con tre uomini seduti attorno a un tavolo. Il caldo e il cuore a mille gli annebbiavano la vista. Si avvicinò al tavolo, pensando di chiedere a quei tre dove fosse Jorge. Invece, mentre si avvicinava, vide un uomo che si alzava in piedi e gli andava incontro, camminando sempre più veloce. Diego lo riconobbe solo dopo essere stato riconosciuto a sua volta, e vedendolo andargli incontro a braccia aperte gli occhi gli si allagarono completamente, e lo strinse in un abbraccio silenzioso. Quanto tempo era passato!
Si sedettero al tavolo, un po’ in disparte dagli altri due, e in una giornata si raccontarono le poche gioie e i tanti dolori delle loro vite, ma solo quando l’emozione permise loro di parlarsi. Era come se si fossero lasciati il giorno prima, anche se erano diventati due poveri vecchi.

XIII
Sono stata tutto il giorno ad aspettare Diego. Chissà come gli è andata. Ho persino avuto il desiderio di pregare un qualche dio di non farlo soffrire. Anche i miei adorati solitari con le carte non sono stati sufficienti a distrarmi. Solo le prime ombre della sera mi hanno regalato un po’ di sonno. Sono stata bruscamente svegliata da Diego, che mi chiamava, quasi gridando, - Livia, Livia, svegliati! –
Si è seduto vicino a me e, con lo stesso entusiasmo di un adolescente, mi ha raccontato tutto. Quel dio che non sono stata capace di pregare ha esaudito lo stesso il mio desiderio. Mi ha raccontato che Jorge si era dovuto sposare ma che non lo aveva mai dimenticato. Sono stati insieme tutto il giorno, con la promessa di rivedersi il giorno dopo. Adesso che lo ha trovato Diego è un po’ più tranquillo, malinconico direi, forse anche perché è quasi buio.
Io sono felice.

XIV
Sono stata svegliata dalle grida del personale. Mi metto addosso qualcosa e salgo su nel bar, da dove mi sembra che provengano le grida. Sono le due e mezzo del mattino. Mi faccio largo tra le persone e a un tratto lo vedo. Diego, mollemente adagiato su un divano, con un’espressione di grande felicità, è semplicemente morto. Ulisse è arrivato a Itaca e l’emozione gli ha spezzato il cuore. Mi sento che le gambe non mi reggono e vorrei morire anch’io, non solo per essere vicino a lui ma perché sono certa che ora è sereno, e lo invidio, come sempre l’ho invidiato, caro il mio vecchio Diego, anche se sono io la più vecchia dei due. Ti avrei regalato volentieri quel che mi restava della vita perché potessi stare un po’ più vicino al tuo amore, piccolo e grande Diego, sappi che mi hai insegnato qualcosa.
Non voglio piangermi addosso davanti a tutti, chissà cosa si potrebbero immaginare. Mi farò fare un caffè.

  
XV
Livia per fortuna sapeva nome e indirizzo, Diego le aveva fatto vedere il biglietto giallo e lei lo aveva rapidamente memorizzato, per cui ritenne che l’ultimo regalo che potesse fare al suo amico fosse quello di portare la notizia a Jorge.
La mattinata la passò a espletare le formalità burocratiche, al consolato italiano, che in quella città era una stanza nell’appartamento del console. Da lui si fece consigliare la maniera migliore per organizzare i funerali. Diego, le aveva raccontato che in Italia non aveva più alcun parente e lei prese la decisione di seppellirlo lì, vicino al suo amore. Fu solo verso le cinque del pomeriggio, sotto il sole cocente, che arrivò alla casa. Lei con lo spagnolo se la cavava bene, l’aveva dovuto imparare per lavoro, e qualche volta era anche andata in Spagna.
Parlò prima con lui, un uomo completamente diverso da come lei se lo sarebbe potuto immaginare, e completamente diverso da Diego. Cercò di spiegare innanzitutto chi fosse e quando dovette dirgli cosa era successo lo vide improvvisamente ammutolirsi e riempirsi gli occhi di lacrime, le stesse lacrime che il giorno prima avevano segnato la sua felicità. Non riuscì più a spiccicare parola e, dopo che Livia gli comunicò la data e l’ora del funerale, si ritirò con un inchino, lasciandola sola.
Mentre parlava Livia si era accorta che non erano soli. La moglie di lui era rimasta in disparte, dietro la soglia della cucina, ma nella posizione di poter sentire tutto.
Dopo che lui fu andato le si avvicinò e le chiese se voleva del tè freddo. Livia non se lo fece ripetere due volte.
Parlarono a lungo, le due donne, Livia con il desiderio di capire, la donna dai capelli grigi col desiderio di sfogarsi. Le raccontò che quando si erano sposati lui le aveva detto di questo grande amore e che lei aveva comunque acconsentito a che ci fosse fra loro due questa presenza, non fisica ma comunque molto ingombrante. La loro vita era andata avanti senza scossoni e quando lei aveva visto Diego in cuor suo aveva gioito, perché sapeva la grande felicità che avrebbe provato il marito.
Livia decise di tornare alla nave a piedi. Questo viaggio era diventato davvero un’avventura e tante erano le idee che le giravano per la testa. L’amore fra queste persone l’aveva colpita profondamente. L’amore della moglie di Jorge, fatto di consapevolezza e di serena accettazione, e l’amore di Diego, fatto di ricordi. Pensava anche all’amore suo per quell’uomo, e si domandava se fosse mai stato amore, e non sapeva rispondersi. Forse anche lei avrebbe dovuto accettare di sapere, forse solo così avrebbe capito il senso degli oggetti sconosciuti della scrivania.
Decise che al ritorno avrebbe fatto un salto al cimitero.